Si supponeva che il COVID-19 terminasse con la risoluzione dei sintomi dell’infezione e la sopravvivenza alla malattia. Di conseguenza, la medicina si è a lungo concentrata sul riconoscimento tempestivo della malattia e sul suo trattamento.
Tuttavia, già da alcuni mesi è emerso che, in analogia con quanto osservato con la sindrome post-sepsi e la sindrome post-terapia intensiva, nei pazienti ammalatisi di COVID-19 possono emergere manifestazioni patologiche e un deterioramento significativo della qualità della vita che persistono a lungo dopo la risoluzione dei sintomi dell’infezione e che sono stati riuniti nella definizione di “sindrome persistente post-COVID” o “long-COVID”.
Il long-COVID è stato definito da qualcuno il “disastro nascosto della sanità pubblica”.
I diversi meccanismi che si ipotizzano siano alla base del long-COVID sono stati riassunti in una review appena pubblicata su Clinical Reviews in Allergy & Immunology da Oronsky B et al. ed includono una marcata immunosoppressione, fibrosi polmonare, fibrosi cardiaca e alterazioni a livello neurologico.
Sono state finora valutate numerose strategie per ottimizzare la gestione degli episodi acuti di COVID-19. Scarsa attenzione è stata invece dedicata finora ad un’adeguata gestione e prevenzione delle possibili conseguenze a lungo termine del COVID-19.
Saranno invece necessari investimenti per la gestione dei pazienti long-COVID, che probabilmente avranno bisogno di adeguata assistenza e percorsi riabilitativi anche quando la pandemia subirà un forte rallentamento grazie ai piani vaccinali in corso.
FONTE: https://link.springer.com/article/10.1007/s12016-021-08848-3